Lì molti felos

Lì molti felos

Io mi chiamo Ramez, ho diciassette anni e sono egiziano. Sono nato nella città di Tanta, capoluogo del governatorato di Gharbeya, situato a nord della capitale Il Cairo. Da bambino giocavo nella strada dove era la mia casa, non passavano mai macchine, ho conosciuto tanti bambini che abitavano nella mia stessa strada, eravamo davvero tanti, la mia mamma si affacciava dalla finestra e mi chiamava quando era pronto da mangiare. Avevamo tutti il pallone con dentro il riso, ricordo ancora quel rumore divertente, come di pioggia sul tetto.

Avevo cinque anni il mio primo giorno di scuola, i miei genitori mi hanno accompagnato, era molto vicina a casa mia, credo circa duecento metri e incominciai a piangere, non volevo lasciarli, avevo paura.

La faccia della mia maestra quando con le bacchette mi lasciava i lividi sulla mani la ricordo ancora adesso come fosse ieri, non ho un bel ricordo di quegli anni.

L’unico motivo che mi faceva felice era Nura, una mia amichetta con cui parlavo sempre che poi è diventata la mia fidanzata, ci vorremmo sposare un giorno. Alle scuole media ci hanno separati, in Egitto ci sono ancora le classi per maschi e per femmine, ma fortunatamente nel corso di geografia potevamo stare vicini, la scuola mi piaceva davvero molto.

Durante le vacanze estive uscivo con i miei amici, in centro del paese c’è sempre tanta gente, noi sceglievamo un bar e guardavamo le partite, a volte pensavo a Nura ma non poteva uscire con me, dalle mie parti la famiglia è molto importante, solo dopo essere fidanzati si può uscire insieme, abbiamo entrambi molto rispetto per queste cose.

Quell’estate cominciai a girar per negozi chiedendo di farmi lavorare, volevo imparare qualcosa, avevo quattro mesi non volevo sprecare tempo in strada a far niente. Dopo tanti no finalmente riuscii a trovare lavoro in un negozio di informatica, ho imparato a usare il computer e il linguaggio htlm, il mio capo è stato molto bravo ad insegnarmelo.

Un giorno tornai da scuola e vidi mia madre che piangeva, lei è sempre stata in casa, non ha mai lavorato, il mio fratellino era in stanza che dormiva. Mi ha fatto molto male vederla così. Mio padre aveva perso il suo lavoro di autista, il suo capo l’aveva licenziato perché c’era poco lavoro, non gli chiesi nulla quel giorno, volevo solo fare qualcosa.

La gente della mia città mi parlava sempre dell’Italia, “lì molti felos (soldi)”, così lo dissi a mio padre ma non lo accompagnai quando portò i tremila ghinè alla persona che mi avrebbe fatto partire, “è brutta gente” mi diceva e non voleva che li conoscessi. I soldi però non li aveva tutti, li aveva trovati chiedendo prestiti ad alcuni amici della mia famiglia.

“Stai attento alla tua vita” mi disse mia madre quando uscii di casa, volli fare subito, non sopportavo le sue lacrime, mio padre e mio fratello mi salutavamo col palmo, non avevo vestiti, solo un ricambio.

La nave ondulava come un pendolo, spesso ho pensato di morire annegato, le storie dei morti mi spaventavano, il mare ti dimentica.

La stazione centrale di Milano era grandissima, lì ho trovato un rifugio, dormivo sull’erba e mi hanno dato un pasto, ma dopo cinque giorni ero stufo, nessuno parlava la mia lingua e io volevo cercare un lavoro. Ho girato per le strade della città chiedendo in inglese se qualcuno aveva bisogno, soprattutto negozi, qui non è come l’Egitto, nemmeno mi ascoltavano.

Ho pensato che mi avrebbero rimandato in Egitto quando mi rincorsero i poliziotti della Questura, per questo cominciai a correre, non sapevo che mi avrebbero accompagnato in comunità.

Sono a casa adesso, aiuterò la mia famiglia.

Ramez