[DIARIO DEL 15 Feb 2015] Questo è stato in Italia
Mi chiamo Amr, ho 17 anni sono nato a Sharkia una città situata ad un’ora da Il Cairo. Sono cresciuto in una famiglia povera, la mia casa ha tutt’intorno una campagna dove lavora mio padre. Abbiamo una mucca che ci dà il latte, il formaggio e qualche volta mio padre riesce a venderlo. Abbiamo anche un asino che spinge un carretto ed aiuta mio padre quando serve portare l’erba per la mucca.
Nella nostra campagna cresce anche il grano che ci serve per fare il pane e l’orzo e io da piccolo lavoravo con lui, però andavo anche a scuola. Mi ricordo che uscivo di casa alle 7 del mattino, aspettavo un piccolo pulmino che ci portava a scuola, era sempre strapieno e costava un ghinè, non era molto comodo ma tanto dovevo aspettare solo quindici minuti. Da scuola tornavo a casa alle una di pomeriggio, mangiavo qualcosa e giocavo con i miei amici fino a sera, qualche giorno però aiutavo anche mio padre.
Quando ho finito la scuola elementare ho deciso di imparare un mestiere. Mio padre non voleva che lavoravo, mi diceva sempre che la scuola contava di più ma io non ce la facevo a vederlo lavorare tutto il giorno senza guadagnare i soldi per noi.
Andavo da un mastro muratore, facevo i pavimenti col cemento, lavoravo moltissimo, ricordo che dalla mattina alle sette fino alla sera alle otto era un continuo portare pesi, stare piegato, insulti, e sgridate, non ho un bel ricordo di quel lavoro e nemmeno delle persone che avevo intorno; l’ho fatto per circa due anni ma cominciavo a sentire dolori in tutto il corpo, la schiena mi faceva male sempre così andai da un dottore che mi disse che o smettevo o sarei rimasto per sempre piegato in avanti e avrei camminato male, così decisi di cambiare lavoro. E pensare che come muratore nemmeno mi pagavano, solo verso la fine e non tutti i giorni mi davano venti ghinè, a volte anche solo dieci.
Cominciai a fare l’idraulico, all’inizio che dovevo imparare il mestiere non mi pagavano, poi col tempo, quando ero un po’ bravo, mi pagavano venti ghinè al giorno che io davo a mio padre per compare vestiti e quaderni per i miei fratelli piu’ piccoli. Ho due fratellini e due sorelline molto più piccoli di me, io sono il maggiore. Quando delle volte ero in giro con i miei amici e vedevamo le case grandi ci dicevamo “questo è stato in Italia” e sognavamo di poter tornare un giorno anche noi con i soldi e poter dare una casa migliore alle nostre famiglie. Così un giorno dissi a mio padre che volevo partire, lui però ricordo che era triste, non voleva che andassi via, io sono il più grande e mi voleva con sé, soprattutto il mare era il nemico più grande per lui, voleva prendessi l’aereo ma io non avevo paura, pensavo o muoio di fame in Egitto o in mare che differenza c’era?
Quando la barca è partita da Alessandria ho sentito nel cuore il dolore perché la mia famiglia mi è mancata troppo ma la forza e la speranza di poter vedere mio padre contento e i miei fratelli e mia madre in una nuova casa mi hanno dato la forza per affrontare il lungo viaggio.
Le onde erano alte, continue, mi girava la testa ma non ho dato di stomaco anche perché non ci davano da mangiare, ho bevuto anche l’acqua salata. Per passare il tempo parlavo con le persone sedute vicino a me, c’era davvero poco spazio, di notte non riuscivo nemmeno a vedere le loro facce, ricordo gli schiaffi dei più grandi quando cercavo di stendere un po’ le gambe, per dieci giorni sono stato con le ginocchia strette nelle braccia.
I primi italiani che ho visto sono stati uomini in divisa, penso che mi trovavo in Calabria, ci hanno portato in una stanza grande e preso le impronte. Io volevo prendere il treno e venire a Milano, non volevo restare lì, avevo anche i soldi per il biglietto. Gli egiziani che incontravo mi dicevano meglio che vai a Pavia, non capivo perché ma mi sono fidato.
Ora sono in comunità e sono felice, almeno per il momento.
Amr